Corte di Cassazione Sezioni Unite Civile

Sentenza del 2 dicembre 2010, n. 24418

Data Udienza: 23/11/2010

Presidente Sezione: DE LUCA Michele

Relatore: RORDORF Renato

Attore: BANCA POPOLARE PUGLIESE S.C.A.R.L.

Convenuto: LECCI GIUSEPPE

Pubbl. Ministero: CENICCOLA Raffaele

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Primo Presidente

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente di Sezione

Dott. MERONE Antonio – Consigliere

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere

Dott. RORDORF Renato – rel. Consigliere

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22421/2009 proposto da:

BA. PO. PU. S.C.A.R.L., capogruppo del gruppo bancario ” Ba. Po. Pu. “, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI VAL GARDENA 3, presso lo studio dell’avvocato DE ANGELIS LUCIO,

che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati TARZIA GIORGIO, DELL’ANNA MISURALE GIUSEPPE, per procura

speciale del notaio Roberto Vinci di Parabita, rep. 27133 dei 02/10/2009, in atti;

– ricorrente –

contro

LE. GI. , elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RIDOLFINO VENUTI 42, presso lo studio dell’avvocato DI SARNO

ALESSANDRA, rappresentato e difeso dagli avvocati NUZZACI GIUSEPPE, TANZA ANTONIO, per delega a margine del

controricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 97/2009 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 19/02/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/11/2010 dal Consigliere Dott. RENATO RORDORF;

uditi gli avvocati Lucio DE ANGELIS, Giuseppe DELL’ANNA MISURALE, Giorgio TARZIA, Giuseppe NUZZACI, Renato

Antonio TANZA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per l’accoglimento

del secondo motivo del ricorso principale, rigetto nel. resto; rigetto del ricorso incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.1 sig. Le.Gi. , con atto notificato il 21 giugno 2001, cito’ in giudizio dinanzi al Tribunale di Lecce la Ba. Po. Pu. soc.

coop. per az. (in prosieguo indicata come Ba. Pu. ). Riferi’ di aver versato a detta banca, dopo la chiusura di alcuni

rapporti di conto corrente con essa intrattenuti tra il (OMESSO), un importo comprensivo di interessi computati ad un

tasso extra Legale e capitalizzati trimestralmente per l’intera durata dei menzionati rapporti. Chiese quindi che, previa

declaratoria di nullita’ della clausola contrattuale inerente agli interessi sopra indicati, la banca convenuta fosse

condannata a restituire quanto indebitamente a questo titolo percepito.

La Ba. Pu. si difese contestando la fondatezza della pretesa dell’attore ed eccependo la prescrizione del diritto azionato.

L’adito tribunale accolse in parte le domande del sig. Le. e condanno’ la banca a restituirgli l’importo di euro 113.571,08.

Chiamata a pronunciarsi sui contrapposti gravami delle parti, la Corte d’appello di. Lecce, con sentenza non definitiva

resa pubblica il 19 febbraio 2009, accolse parzialmente la sola Impugnazione principale, in quanto ritenne che

validamente fosse stata pattuita la corresponsione di interessi ad un tasso extralegale. Confermo’ invece la declaratoria

di nullita’ della clausola di capitalizzazione trimestrale dei medesimi interessi, escludendo d:i potervi validamente

sostituire un meccanismo di capitalizzazione annuale, e ribadi’ il rigetto dell’eccezione di prescrizione con cui l’istituto di

credito aveva inteso paralizzare l’azione di ripetizione d’indebito proposta dal correntista.

Avverso tale sentenza la Ba. Pu. ha avanzato ricorso per cassazione, prospettando due motivi di censura.

Il sig. Le. si e’ difeso con controricorso ed ha proposto un ricorso incrdentale, articolato in due motivi ed illustrato poi

anche con memoria, al quale la banca ha replicato, a propria volta, con un controricorso del pari illustrato da successiva

memoria.

La particolare importanza delle questioni sollevate ha indotto ad investirne le sezioni unite.

All’esito della discussione in pubblica udienza il difensore della ricorrente ha presentato osservazioni scritte sulle

conclusioni, del pubblico ministero.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I ricorsi proposti avverso la medesima sentenza debbono preliminarmente esser riuniti, come dispone l’articolo 335

c.p.c..

2. I due motivi del ricorso principale, entrambi volti a denunciare errori di diritto e vizi di motivazione dell’impugnata

sentenza, investono, rispettivamente, due distinte questioni:

a) se l’azione di ripetizione d’indebito proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullita’ della clausola di

capitalizzazione trimestrale degli interessi maturati su un’apertura di credito in conto corrente e chieda percio’ la

restituzione di quanto a questo titolo corrisposto alla banca, si prescriva a partire dalla data di chiusura del conto o,

partitamente, da quando e’ stato annotato in conto ciascun addebito per interessi;

b) se, accertata la nullita’ del’anzi detta clausola di capitalizzazione trimestrale, gli interessi debbano essere computati

con capitalizzazione annuale o senza capitalizzazione alcuna.

2.1. Il ricorso incidentale, che verra’ esaminato successivamente, concerne invece la misura del tasso di interessi da

applicare nel rapporto bancario m esame.

3. Giova premettere che i rapporti di conto corrente dei quali nella presente causa si discute risultano essersi svolti ed

essere stati chiusi in data precedente all’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 342 del 1999, con cui e’ stato

modificato il Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 120 (Testo Unico Bancario). Ad essi non è quindi applicabile

la disciplina dettata, in attuazione (iella richiamata normativa, dalla delibera emessa il 9 febbraio 2000 dal Comitato

interministeriale per il credito ed il risparmio (Cicr). Percio’, anche per effetto della declaratoria d’incostituzionalita’ del

citato Decreto Legislativo n. 342 del 1999, articolo 25, comma 3, pronunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza

n. 425 del 2000, la disciplina cui occorre qui fare riferimento e’ esclusivamente quella antecedente al 22 aprile 2000

(data di entrata in vigore della menzionata delibera del Cicr).

Su tale base e’ stata dichiarata nelle pregresse fasi del giudizio di merito la nullita’ della clausola di capitalizzazione

trimestrale degli interessi a carico del cliente, che figurava nei contratti di conto corrente bancario di cui si tratta, in

conformita’ all’orientamento di queste sezioni unite, secondo cui la legittimita’ della capitalizzazione trimestrale degli

interessi a debito del correntista bancario va esclusa anche con riguardo al periodo anteriore alle decisioni con le quali la

Suprema corte, ponendosi in contrasto con l’indirizzo giurisprudenziale sin li seguito, ha accertato l’inesistenza di un uso

normativo idoneo a derogare al precetto dell’articolo 1283 c.c. (Sez. un. 4 novembre 2004, n. 21095).

Deriva da cio’ la pretesa del correntista di ripetere quanto indebitamente versato a titolo di interessi illegittimamente V:.

computati a suo carico dalla banca, ma occorre stabilire se all’accoglimento di tale pretesa osti l’intervenuta prescrizione.

Infatti, se l’azione di nullita’ e’ imprescrittibile, altrettanto non e’ a dirsi – come chiaramente indicato dall’articolo 1422 c.c.

– per le conseguenti azioni restitutorie; donde, appunto, la già “richiamata necessità”, di individuare il dies a quo del

termine di prescrizione decennale applicabile, in casi come questi, alla condictio indebiti.

3.1. A tale riguardo e’ opportuno anzitutto ricordare come la pregressa giurisprudenza di questa corte, alla quale anche

l’impugnata sentenza ha fatto riferimento, abbia gia’ in passato avuto occasione di affermare che il termine di

prescrizione decennale per il reclamo del le somme trattenute dalla banca indebitamente a titolo di interessi su

un’apertura di credito in conto corrente decorre dalla chiusura definitiva del rapporto, trattandosi di un contratto unitario

che da luogo ad un unico rapporto giuridico, anche se articolato in una pluralita’ di atti esecutivi, sicche’ e’ solo con la

chiusura del conto che si stabiliscono definitivamente i crediti e i debiti delle parti tra loro (Cass. 9 aprile 1984, n. 2262;

e Cass. 14 maggio 2 005, n. 10127).

A siffatto orientamento, che non tutta la dottrina ha condiviso, la banca ricorrente muove critiche che son degno di

attenzione.

Puo’ condividersi il rilievo secondo cui l’unitarieta’ del rapporto giuridico derivante dal contratto di conto corrente

bancario non e’, di per se’ solo, elemento decisivo al fine d’individuare nella chiusura del conto il momento da cui debba

decorrere il termine di prescrizione del diritto alla ripetizione d’indebito che, in caso di poste non legittimamente iscritte

nel conto medesimo, eventualmente spetti al correntista nei confronti della banca. Ogni qual volta un rapporto di durata

implichi prestazioni in denaro ripetute e scaglionate nel tempo si pensi alla corresponsione dei canoni di locazione o

d’affitto, oppure del prezzo nella somministrazione periodica di cose – l’unitarieta’ del rapporto contrattuale ed il fatto che

esso sia destinato a protrarsi ancora per il futuro non impedisce di qualificare indebito ciascun singolo pagamento non

dovuto, se cio’ dipende dalla nullita’ del titolo giustificativo dell’esborso, sin dal momento in cui il pagamento medesimo

abbia avuto luogo; c.d. e’ sempre da quel momento che sorge dunque il diritto del solvens alla ripetizione e che la

relativa prescrizione inizia a decorrere.

Nondimeno, con specifico riguardo al contratto di apertura di credito bancario in conto corrente, la conclusione alla quale

era pervenuta la giurisprudenza sopra richiamata va tenuta ferma, in base alle considerazioni ed entro i limiti di cui

appresso.

3.2. Occorre considerare che, con tutta ovvieta’, perche’ possa sorgere il diritto alla ripetizione di un pagamento

indebitamente eseguito, tale pagamento deve esistere ed essere ben individuabile. Senza indulgere in inutili disquisizioni

sulla nozione di pagamento nel linguaggio giuridico e sulla sua assimilazione o distinzione dalla piu’ generale nozione di

adempimento, appare indubbio che il pagamento, per dar vita ad un’eventuale pretesa restitutori a di chi assume di

averlo indebitamente effettuato, debba essersi tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte di quel medesimo

soggetto (il solvens), con conseguente spostamento patrimoniale in favore di altro soggetto (l’accipiens); e lo si’ puo’

dire indebito – e percio’ ne consegue il diritto di ripeterlo, a norma dell’articolo 2033 c.c. – quando difetti di una idonea

causa giustificativa.

Non puo’, pertanto, ipotizzarsi il decorso del termine di prescrizione del diritto alla ripetizione se non da quando sia

intervenuto un atto giuridico, definibile come pagamento, che l’attore pretende essere indebito, perche’ prima di quel

momento non e’ configurabile alcun diritto di ripetizione. Ne’ tale conclusione muta nel caso in cui il pagamento debba

dirsi indebito in conseguenza dell’accertata nullita’ del negozio giuridico in esecuzione al quale e’ stato effettuato, altra

essendo la domanda volta a far dichiarare la nullita’ di un atto, che non si prescrive affatto, altra quella volta ad ottenere

la condanna alla restituzione di una prestazione eseguita: sicche’ questa corte ha gia’ in passato chiarito che, con

riferimento a quest’ultima domanda, il termine di prescrizione inizia a decorrere non dai la data della decisione che abbia

accertato la nullita’ del titolo giustificativo del pagamento, ma da quella de pagamento stesso: Cass. 13 aprile 2005, n.

7651).

3.3. I rilievi che precedono sono sufficienti a convincere di come difficilmente possa essere condiviso il punto di vista

della ricorrente, che, in casi del genere di quello in esame, vorrebbe individuare il dies a quo del decorso della

prescrizione nella data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati dalla banca al

correntista.

L’annotazione in conto di una siffatta posta comporta un incremento del debito del correntista, o una riduzione del

credito di cui egli ancora dispone, ma in nessun modo si risolve in un pagamento, nei termini sopra indicati: perone non

vi corrisponde alcuna attivita’ solutoria del correntista medesimo in favore della banca. Sin dal momento

dell’annotazione, avvedutosi dell’illegittimita’ dell’addebito in conto, il correntista potra’ naturalmente agire per far

dichiarare la nullita’ del titolo su cui quell’addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica in suo favore

delle risultanze del conto stesso. E potra’ farlo, se al conto accede un’apertura di credito bancario, allo scopo di

recuperare una maggiore disponibilita’ di credito entro i limiti del fido concessogli. Ma non puo’ agire por la ripetizione di

un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non ha ancora avuto luogo.

Occorre allora aver riguardo, piu’ ancora che al gia’ ricordato carattere unitario del rapporto di conto corrente, alla natura

ed al funzionamento del contratto di apertura di credito bancario, che in conto corrente e’ regolata. Come agevolmente

si evince dal disposto degli articoli 1842 1843 c.c., l’apertura di credito si attua mediante la messa a disposizione, da parte

della banca, di una somma di denaro che il cliente puo’ utilizzare anche in piu’ riprese e della quale, per l’intera

durata del rapporto, puo’ ripristinare in tutto o in parte la disponibilita’ eseguendo versamenti che gli consentiranno poi

eventuali ulteriori prelevamenti entro il limite complessivo del credito accordatogli.

Se, pendente l’apertura di credito, i correntista non si sia avvalso della facolta’ di effettuare versamenti, pare indiscutibile

che non vi sia alcun pagamento da parte sua, prima del momento in cui, chiuso il rapporto, egli provveda a restituire alla

banca il denaro in concreto utilizzato. In tal caso, qualora la restituzione abbia ecceduto il dovuto a causa del computo di

interessi in misura non consentita, l’eventuale azione di ripetizione d’indebito non potra’ che essere esercitata in un

momento successivo alla chiusura del conto, e solo da quel momento comincera’ percio’ a decorrere il relativo termine di

prescrizione.

Qualora, invece, durante lo svolgimento del rapporto il correntista abbia effettuato non solo prelevamenti ma anche

versamenti, in tanto questi ultimi potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da poter formare oggetto di

ripetizione (ove risultino indebiti), in quanto abbiano avuto lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore

della banca. Questo accadra’ qualora si tratti di versamenti eseguiti su un conto in passivo (o, come in simili situazioni si

preferisce dire “scoperto”) cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti

siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’accreditamento. Non e’ cosi’, viceversa, in tutti i casi nei quali i

versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite dell’affidamento concesso al cliente, fungano unicamente da

atti ripristinatori della provvista della quale il correntista puo’ ancora continuare a godere.

L’accennata distinzione tra atti ripristinatori della provvista ed atti di pagamento compiuti dal correntista per estinguere il

proprio debito verso la banca, opportunamente richiamata anche nell’impugnata sentenza della corte d’appello, e’ ben

nota alla giurisprudenza (che ne ha fatto applicazione in innumerevoli casi, a partire da Cass. 18 ottobre 1982, n. 5413

sino a tempi piu’ recenti: si vedano, ad esempio, Cass. 6 novembre 2007, n. 23107; e Cass. 23 novembre 2005, n.

24588). Pur se elaborata ad altri fini, detta distinzione non puo’ non venire in evidenza anche quando si tratti di stabilire

se e’ o meno configurabile un pagamento, asseritamente indebito, da cui possa scaturire una pretesa restitutoria ad

opera del solvens; pretesa che e’ soggetta a prescrizione solo a partire dal momento in cui si puo’ affermare che essa sia

venuta ad esistenza.

Un versamento eseguito dai cliente su un conto il cui passivo non abbia superato il limite dell’affidamento concesso dalla

banca con l’apertura di credito non ha ne’ lo scopo ne’ l’effetto di soddisfare la pretesa della banca medesima di vedersi

restituire le somme date a mutuo (credito che, in quel momento, non sarebbe scaduto ne’ esigibile), bensi’ quello di

riespandere la misura dell’affidamento utilizzabile nuovamente in futuro dal correntista. Non e’, dunque, un pagamento,

perche’ non soddisfa il creditore ma amplia (o ripristina) la facolta’ d’indebitamento del correntista; e la circostanza che,

in quel momento, il saldo passive del conto sia influenzato da interessi illegittimamente fin li’ computati si traduce in

un’indebita limitazione di tale facolta’ di maggior indebitamento, ma non nel pagamento anticipato di interessi. Di

pagamento, nella descritta situazione, potra’ dunque parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di

credito in conto corrente, la banca abbia esatto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del. quale

risultino compresi interessi non dovuti e, percio’, da restituire se corrisposti dal cliente all’atto della chiusura del conto.

3.4. Nel caso in esame la corte territoriale ha appunto affermato che i pagamenti eseguiti dal correntista in pendenza del

rapporto di apertura di credito regolato in conto corrente “non costituiscono (come sostiene l’appellante) pagamenti

(indebiti), ma atti ripristinatori della provvista” (sentenza impugnata, pag. 7).

La ricorrente non ha censurato tale affermazione, ne’ ha comunque sostenuto che vi fossero in atti elementi dai quali si

sarebbe potuto desumere una realta’ diversa. Ne consegue che il primo motivo del ricorso principale va rigettato alla luce

del seguente principio di diritto:

“Se, dopo la conclusione di un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, il correntista agisce

per far dichiarare la nullita’ della clausola che prevede la corresponsione di interessi anatocistici e per la ripetizione di

quanto pagato indebitamente a questo titolo, il termine di prescrizione decennale cui tale azione di ripetizione e’

soggetta decorre, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione

ripristinatoria della provvista, dalla data in cui e’ stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti

sono stati registrati”.

4. La questione se, accertata la nullita’ dell’anzidetta clausola di capitalizzazione trimestrale, gi interessi debbano essere

computati con capitalizzazione annuale o senza capitalizzazione alcuna forma oggetto, come gia’ detto, del secondo

motivo di ricorso.

La corte d’appello ha interpretato le clausole riportate nel contratto di conto corrente stipulato dal sig. Le. con la Ba. Pu.

nel senso che, in caso di conto in attivo per il cliente, la capitalizzazione degli interessi a suo favore fosse prevista a

scadenze annuali, mentre, in caso di conto in passivo, la capitalizzazione degli interessi in favore della banca avrebbe

dovuto avvenire trimestralmente. Accertata la nullita’ di quest’ultima previsione contrattuale ed esclusa ogni possibile

integrazione legale del contratto, la corte d’appello ha tratto la conclusione che non residui alcuno spazio per la

capitalizzazione annuale degli interessi pretesa dalla banca.

Secondo la ricorrente, siffatta interpretazione non sarebbe conforme ai criteri legali d’interpretazione dei contratti ed

implicherebbe un’indebita estensione della declaratoria di nullita’ della clausola di capitalizzazione trimestrale anche alla

diversa ipotesi di capitalizzazione annuale degli interessi, rispetto alla quale non sussisterebbero le medesime ragioni

d’invalidita’.

4.1. Neppure siffatte censure colgono nel segno.

L’articolo 7 del contratto di apertura di credito in conto corrente da cui origina la presente causa contiene due commi: il

primo prevede la chiusura contabile annuale dei rapporti di dare ed avere tra le parti, con registrazione in conto degli

interessi, delle commissioni e delle spese; il secondo stabilisce che i conti anche saltuariamente debitori siano invece

chiusi trimestralmente, quindi con capitalizzazione trimestrale degli interessi maturati nel periodo a carico del correntista,

ferma restando la capitalizzazione annuale di quelli eventualmente spettanti a suo credito.

L’interpretazione che di tale clausola di contratto ha dato la corte di merito e’ essenzialmente fondata su un argomento

di tipo logico-sistematico, in linea con la previsione dell’articolo 1363 c.c., oltre che sul rilievo dato dal comportamento

successivo delle parti (articolo 1362 c.c., comma 2). Non è apparso infatti sostenibile alla corte leccese che il comma 1

della clausola in esame, nel prevedere la capitalizzazione annuale degli interessi, si riferisse anche a quelli eventualmente

maturati a debito del correntista e che, percio’, venuta meno la previsione del comma 2, che assoggettava invece tali

interessi debitori alla capitalizzazione trimestrale, dovesse trovare applicazione per essi la capitalizzazione annuale. Si

osserva nell’impugnata sentenza che alla capitalizzazione degli interessi debitori per il correntista si riferisce

espressamente il comma 2, prevedendola su base trimestrale, e che tale previsione, immaginata ovviamente come valida

al tempo della sua predisposizione, conduce evidentemente ad escludere che agli stessi interessi debitori le parti abbiano

inteso applicare anche il regime – diverso ed incompatibile – della capitalizzazione annuale, contemplato dal comma 1. Il

che ha condotto alla ragionevole conclusione secondo cui il riferimento del medesimo comma 1 agli interessi debba

essere inteso come limitato agli interessi a credito del correntista, essendo la capitalizzazione di. quelli a debito destinata

necessariamente a cadere sotto la differente disciplina dettata dal comma 2.

La banca ricorrente, nel contestare che questa interpretazione corrisponda davvero alla comune intenzione delle parti del

contratto, non individua in modo puntuale quali regole di ermeneutica legale sarebbero state eventualmente violate, ne’

pone in luce contraddizioni logiche nello sviluppo argomentativo che sorregge la conclusione raggiunta dalla corte di

merito.

Non appare d’altronde condivisibile l’affermazione secondo cui sarebbe stata in tal modo arbitrariamente estesa la nullita’

della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anche alla clausola di capitalizzazione annuale. Vero e’ invece

che, come gia’ chiarito, quest’ultima clausola e’ stata considerata irrilevante ai fini della decisione della causa, in quanto

non riferibile al calcolo degli interessi a debito del correntista. La capitalizzazione annuale e’ stata dunque esclusa per

difetto di qualsiasi baso negoziale che l’abbia prevista, e non perche’ sia stata dichiarata nulla la clausola che la

prevedeva.

Del resto, non e’ il caso di tacere che neppure potrebbe esser condivisa la tesi secondo la quale le ragioni di nullita’

individuate dalla giurisprudenza di questa corte per le clausole di capitalizzazione degli interessi debitori registrati in

conto corrente investirebbero solo il profilo della loro periodizzazione trimestrale. Detta giurisprudenza, corri’e’ noto, ha

escluso di poter ravvisare un uso normativo atto a giustificare, nel settore bancario, una deroga ai limiti posti

all’anatocismo dall’articolo 1283 c.c. ma non perché abbia messo in dubbio il reiterarsi nel tempo della consuetudine

consistente nel prevedere nei contratti di conto corrente bancari. la capitalizzazione trimestrale degli indicati interessi,

bensi’ per difetto del requisito della “normativita’” di tale pratica. Sarebbe, di conseguenza, assolutamente arbitrario

trame la conseguenza che, nel negare l’esistenza di usi normativi di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori,

quella medesima giurisprudenza avrebbe riconosciuto (implicitamente o esplicitamente) la presenza di usi normativi di

capitalizzazione annuale. Prima che difettare di “normativita’”, usi siffatti non si rinvengono nella realta’ storica, o almeno

non nella realta’ storica dell’ultimo cinquantennio anteriore agli interventi normativi della fine degli anni novanta del

secolo passato: periodo caratterizzato da una diffusa consuetudine (non accompagnata pero’ dalla opinio iuris ac

necessitatis) di capitalizzazione trimestrale, ma che non risulta affatto aver conosciuto anche una consuetudine ai

capitalizzazione annuale degli interessi debitori, ne’ di necessario bilanciamento con quelli creditori.

4.2. Il rigetto del secondo motivo del ricorso principale puo’ essere dunque accompagnato dall’enunciazione del seguente

principio di diritto:

“L’interpretazione data dal giudice di merito all’articolo 7 del contratto di conto corrente bancario, stipulato dalle parti in

epoca anteriore al 22 aprile 2000, secondo la quale la previsione di capitalizzazione annuale degli interessi contemplata

dal comma 1, di detto articolo si riferisce ai soli interessi maturati a credito del correntista, essendo invece la

capitalizzazione degli interessi a debito prevista dal comma successivo su base trimestrale, e’ conforme ai criteri legali

d’interpretazione del contratto ed, in particolare, a quello che prescrive l’interpretazione sistematica delle clausole; con la

conseguenza che, dichiarata la nullita’ della surriferita previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale, per contrasto

con il divieto di anatocismo stabilito dall’articolo 1283 c.c. (il quale osterebbe anche ad una eventuale previsione

negoziale di capitalizzazione annuale), gli interessi a debito del correntista debbono essere calcolati senza operare

capitalizzazione alcuna”.

5. Quanto alla misura del tasso d’interesse applicato dalla banca al rapporto in esame, che e’ la questione su cui vertono

i due motivi del ricorso incidentale, e’ necessario ricordare come la corte territoriale abbia reputato soddisfatto il requisito

della pattuizione per iscritto del tasso extralegale, posto dall’articolo 1284 c.c. perché la difesa dell’istituto di

credito ha prodotto in giudizio le proposto contrattuali, firmate dal sig. Le. , contenenti appunto l’indicazione di un tasso

a’interesse superiore a quello previsto dalle legge.

Il ricorrente non contesta il consolidato principio giurisprudenziale al quale a corte d’appello si e’ richiamata, e cioe’ che

la produzione in giudizio di una scrittura privata ad opera della parte che non l’abbia sottoscritta costituisce equipollente

della mancata sottoscrizione contestuale e pertanto perfeziona il contratto in essa contenuto, purche’ la controparte del

giudizio sia la stessa che aveva gia’ sottoscritto il contratto e non abbia revocato, prima della produzione, il consenso

prestato (cfr. Cass. 12 giugno 2006, n. 13548; Cass. 16 maggio 2006, n. 11409; Cass. 8 marzo 2006, n. 4921, e

numerose altre conformi). Egli afferma, pero’, che la banca avrebbe in realta’ applicato interessi diversi da quelli indicati

nelle surriferite scritture, adeguandosi agli usi correnti su piazza (primo motivo del ricorso incidentale); ed aggiunge che

la corte d’appello avrebbe trascurato di tener conto della produzione, ad opera della difesa del medesimo sig. Le. , di una

lettera, inviata alla controparte prima dell’inizio della causa, nella quale ora stata espressa l’intenzione di revocare la

volonta’ manifestata in qualsiasi precedente scrittura (secondo motivo).

5.1. Nemmeno il ricorso incidentale appare meritevole di accoglimento.

La circostanza che la banca possa aver di fatto applicato interessi ad un tasso diverso da quello pattuito pattuizione la

cui validita’ discende dal principio di diritto enunciato dalla giurisprudenza sopra richiamata, al quale il giudice di merito

appare essersi correttamente attenuto – non e’ circostanza idonea ad invalidare ex post la pattuizione stessa; ne’ implica

che ne sia stata stipulata tra le parti un’altra, priva del necessario requisito formale o ancorata a parametri oscillanti e

non adeguatamente predeterminabili. Detta circostanza potrebbe semmai aver rilievo, ai fini della decisione della causa,

solo qualora i tassi d’interesse in concreto applicati dalla banca fossero stati superiori a quelli indicati nei documenti

contrattuali sottoscritti dal correntista e prodotti in giudizio dalla banca medesima; ma cio’ non risulta, o comunque il

ricorrente incidentale non documenta di averlo provato nel corso del giudizio di merito, il che basta a privare la sua

doglianza di fondamento.

L’assunto secondo il quale il sig. Le. avrebbe revocato la dichiarazione contrattuale da lui sottoscritta prima che questa

fosse prodotta in causa dalla banca non puo’ essere apprezzato in questa sede. Il ricorrente incidentale si limita, infatti, a

riportare tra virgolette un passaggio della lettera contenente tale asserita revoca; ma solo la lettura integrale dei

documento consentirebbe davvero di valutarne la portata negoziale, ne’ lo stesso ricorrente ha indicato con sufficiente

precisione in quale atto de giudizio di merito quel documento, sul quale il motivo di ricorso si fonda, e’ stato prodotto

(limitandosi a dire che risulta “prodotto in atti”); e neppure appare averlo autonomamente depositato nella cancelleria di

questa corte: onde non puo’ dirsi siano state a questo riguardo rispettate le prescrizioni dettate, rispettivamente a pena

d’inammissibilità e d’improcedibilita’, dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4.

6. Il rigetto di entrambi i. ricorsi e la conseguente reciproca soccombenza induce a compensare tra le parti le spese del

giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La corte riunisce i ricorsi, li rigetta e compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimita’.